Giampiero Arciero
Sulle tracce di sè
2006 Bollati Boringhieri

Recensione di Viridiana Mazzola

Una domanda ricorre silenziosa ed attraversa i saggi che compongono questo libro, una domanda antica e mai esaurita: come comprendersi e comprendere l’altro?
Come cercare di dare un senso agli atteggiamenti, ai comportamenti, ai modi di essere delle persone con cui si condivide la propria vita ed a se stessi?
In effetti, come sottolinea l’Autore, inquadrare la persona che si ha di fronte è un’attitudine coltivata dagli esseri umani sin dagli albori della civiltà; la tendenza cioè a chiudere l’altro in un ritratto. Dorian Gray!
“Una sorta di fascinazione data dalla possibilità di possedersi e di possedere l’altro facendone un ritratto: un segno zodiacale, una categoria, un tipo”.


Sono colpiti da tale incantamento i lettori giornalieri di oroscopi, gli psichiatri, i genetisti, gli astrologi, i letterati e gli psicologi. Tutti alla ricerca della chiave che ci permette di cogliere l’altro e se stessi, che ci consente di impossessarcene. Come conciliare dunque l’utilizzo del segno zodiacale o della diagnosi impersonale o dell’esame del DNA con il fatto che l’altro, come la morte ci insegna, è ogni volta unico? Come è possibile districarsi fra l’impersonale ed il personale?
Il percorso del I saggio “La coscienza è fuori di sé?” inizia dal tema della coscienza, fenomeno caratterizzante il genere umano e indissolubilmente legato al singolo individuo come luogo dell’intimità a sé. L’itinerario si sviluppa lungo una traiettoria singolare che tocca i metodi della psichiatria e della psicoterapia, percorre i sentieri delle scienze naturali fino a giungere ai grandi temi del significato e dell’interpretazione dell’esperienza personale.
L’autore costruisce così una risposta alla domanda di come sia possibile indagare e comprendere la coscienza nel suo costituirsi e dispiegarsi, nel suo essere di tutti e contemporaneamente solo di ognuno, portando a sostegno le recenti ricerche neuroscientifiche sul funzionamento del cervello in vivo fatte per mezzo di risonanza magnetica funzionale.
La risposta prosegue nel saggio successivo “Sentimenti e Passioni” dove, attraversando una soglia letteraria, si entra nell’ambito dello studio delle emozioni. Qui la domanda sul personale e l’impersonale prende altre forme.
Da un lato: perchè differenti persone avvertono in maniera diversa una stessa emozione? Dall’altro: il pensiero viene prima del sentire oppure il sentire prima del pensare? L’intreccio e la ricerca di soluzioni a questi problemi analizzati alla luce degli studi attuali nel dominio della sociologia, della psicologia, della genetica e delle neuroscienze affettive costituisce l’impianto di questo saggio.
Spicca per lucidità, l’analisi del modo contemporaneo (post-moderno) di emozionarsi, che permette di comprendere fenomeni singolari come la blogosfera o le chat rooms. A questa, si contrappone lo studio dell’affettività dalla prospettiva delle passioni dell’animo, del sentire viscerale, “dell’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali”.
Attraverso la composizione di una trama che compone quei due fili, l’autore delinea il fondamento secondo cui comprendere il come le persone costituiscono la loro storia in relazione a modi diversi si emozionarsi.
Il saggio si conclude ancora una volta con un rinvio: il modo di emozionarsi determina il carattere della persona? Il mio essere è dunque già fissato, è già determinato nonostante me?
La brillante ed originale traduzione del frammento 119 D-K di Eraclito, posta ad epigrafe del III saggio “Carattere e Personalità” pone il tema in tutta la sua forza. “Il carattere destino dell’uomo, il destino carattere dell’uomo”; il modo di vivere di un uomo ne determina la sorte, ma gli eventi del vivere determinano il carattere di quell’uomo; così dice Eraclito.
Queste armoniche oscillanti fra la determinazione del carattere e la responsabilità della libertà dopo aver attraversato secondo articolazioni diverse l’intero saggio si chiudono su una suggestiva lettura di Genesi 32, 23-33 che permette all’autore –attraverso l’analisi del trascendente– di comprendere l’altro alla luce della sua libertà. “Guardare l’altro in volto (come accadde a Giacobbe con il volto di Dio) facendo posto alla sua libertà, libertà che accomuna e che separa, fonda la relazione con il trascendente che è prima di tutto, prima di ogni dio, l’esperienza dell’altro, compreso come irriducibile alterità”.
Il volume termina con un ultimo studio dal titolo “L’inconscio, l’agire e la storia personale”. Dopo molti scavi è in questo strato che finalmente incontriamo la fonte primaria del significato dell’esperienza personale; è qui che l’autore mostra il come ed il quando si compone la libertà con la storia individuale, è qui che si appalesa il titolo del libro. Vivendo lasciamo tracce che continuamente riconsideriamo alla luce degli eventi che costellano il nostro esistere. Da questa prospettiva l’autore sviluppa alcune fertili implicazioni relative alla relazione fra neuroni “specchio” e costituzione del significato.
Sulle tracce di sè… “immagine inquieta poichè chi ha lasciato le tracce e chi si pone su quelle tracce sono la stessa persona”.